Di Roberto Allara
Ci sarà certamente chi griderà allo scandalo. La Luger è considerata una sorta di “mostro sacro”, un oggetto da collezionare e forse da venerare, da trovarsi monomatricola e in condizioni originali per riporlo immediatamente in una vetrina. In effetti tra le Luger vi sono pezzi che appartengono al collezionismo di altissimo livello. Pensiamo alle Carlos I, alle MP, alla prima variante della svizzera 1900, alle 1900 commerciali “Croce nel Sole”, alle Luger dell’America centro-meridionale. Al di fuori del modello 1900, alcune modello 02 e 04 sono delle autentiche rarità, così come qualche 06 commerciale citata da Horst Rutsch. Però la Luger P08 è stata costruita in milioni di esemplari, distribuita su vasta scala, portata nel fango delle trincee. E’ un’arma costosa, questo è vero. E’ costosa, ovviamente, perché è molto richiesta, in base alla legge della domanda e dell’offerta. E’ costosa se in buone condizioni perché è stata effettivamente usata sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale; molti esemplari anche su quelli della prima. E’ costosa se sapientemente restaurata, perché un restauro che non pregiudichi il funzionamento è lungo e delicato. Però non è un’arma rara. Tra Mauser e l’arsenale di Erfurt ne furono prodotte oltre un milione e mezzo di pezzi, tralasciando le quote minori prodotte da Simson, Vickers, Krieghoff e (forse) Spandau, di cui non si sa se abbia prodotto o solo assemblato i suoi circa 150 pezzi. La DWM da sola, tra i vari modelli, costruì più di 1.300.000 pezzi. La produzione totale delle Luger modello P08 è quindi largamente superiore ai due milioni di pezzi. Evidentemente l’innegabile fascino del disegno “Belle Époque” fa premio sul valore collezionistico effettivo, almeno per il modello 08. Si tratta comunque di un’arma che, portata in poligono, può dare grandi soddisfazioni all’orgoglioso proprietario, con cartucce ancor oggi in commercio, senza l’angoscia del poter rovinare un pezzo insostituibile. Lo dimostra il fatto che nelle gare cosiddette per “ferri vecchi” (avercene!) molte tra le migliori prestazioni sono realizzate con la vecchia Parabellum.
Per il miglior uso in poligono, è noto, un’arma strettamente di serie può essere accuratizzata. Lo stesso avviene per la Luger, ma con qualche limitazione concettuale. Georg Luger era un ottimo tiratore, tanto che eseguì personalmente i tiri di esattezza (allora si chiamavano così), in più occasioni, nel corso della presentazione dell’arma per test militari. La sua pistola è già stata progettata per la precisione del tiro. In pratica quindi, con la Luger, si fa quello che avviene nel mondo dell’automobile. Tutti gli interventi nascosti effettuati sull’auto di serie nel corso della produzione hanno lo scopo di far sì che il prodotto si avvicini poco per volta a rispecchiare esattamente le caratteristiche di progetto. Nella messa in pratica di una meravigliosa teoria, infatti, difficilmente si realizza tutto al primo colpo, e solitamente si procede per approssimazioni successive. Nel caso della Luger il progetto era eccellente, ma le vicissitudini subite da un’arma possono averne mutato le caratteristiche. Non solo la produzione, specialmente negli anni della guerra, potrebbe essere stata approssimativa, ma alcuni pezzi possono non accoppiarsi come dovrebbero, oppure qualche intervento estetico eseguito da restauratori (ma che cosa restauravano finora, le incudini?) malcerti o frettolosi, con spazzolature feroci, può avere consumato ciò che doveva restare integro. Un consiglio: se trovate un’arma in buone condizioni meccaniche e con un’estetica deprimente, non fidatevi del primo che capita. Comperatela così com’è e portatela, per il restauro, a qualcuno che davvero sappia quel che fa. Vi costerà qualche lira in più, ma la pistola continuerà a funzionare anche dopo essere stata riportata all’onor del mondo.
Per via di possibili vicissitudini subite, quindi, anche un’arma monomatricola può giovarsi di alcuni interventi. Ecco, una produzione di quasi tre milioni di pezzi impone qualche considerazione sul concetto di “arma monomatricola”. Considerando che sulle parti minori dell’arma sono riportate le ultime due cifre della matricola, che è composta da un simbolo più quattro cifre, per ogni milione di pistole avremo diecimila piastrine che portano il numero “00”, diecimila con “01”, e così via fino a “99”. Lo stesso vale per i grilletti, le parti terminali dell’otturatore e così via. Quindi se dieci parti della nostra pistola con numero di matricola 4267 portano le cifre “67” ciò non significa che l’arma sia monomatricola. Le dieci parti potrebbero essere appartenute, in origine, a dieci pistole diverse. Lo stesso venditore potrebbe non accorgersene, se non particolarmente esperto in materia. In questo caso smontando e rimontando l’arma, e provandola in poligono, le distonie vengono rilevate. Bisogna essere competenti, e Roberto Palamà, al quale ci siamo rivolti per gli interventi, è tuttora il miglior conoscitore della 08 a livello nazionale, e non solo. Anche se ha il vezzo di sostenere che non è ancora certo di aver capito davvero tutto, dopo oltre trent’anni di studio.
Gli interventi di accuratizzazione consistono quindi nel riportare l’arma alle condizioni di monomatricola “vera”, nel recupero dei guasti da lucidatura spinta e nell’elaborazione dello scatto. Per chi vuole, potranno essere modificate le mire. Tuttavia, mentre gli interventi sull’arma porteranno a sensibili miglioramenti senza essere per nulla avvertiti a livello estetico, quelli sulle mire saranno in qualche misura visibili. Sono tre. Il primo è sagomare a “U” la tacca di mira, una modifica già effettuata dagli svizzeri sulle loro Parabellum, di serie sulla modello 06/29). Poi bisogna riprendere il mirino in modo che abbia una faccia superiore piana e leggermente sottosquadro, in modo tale da essere ben visibile. Da ultimo, se l’arma si presta, si possono modificare leggermente la sagoma del mirino e della tacca in modo che non riflettano la luce verso il tiratore. Non si potrà avere una sagoma con la faccia posteriore in ombra, ma si può migliorare di molto l’acquisizione delle mire e la collimazione. Palamà, se richiesto, realizza un nuovo mirino in modo da poter conservare intatto quello originale.
Sistemate le mire, bisogna verificare la meccanica. Il principio di funzionamento dell’arma è noto. L’otturatore si compone di tre parti articolate tra loro per mezzo di robusti perni, teoricamente giacenti sullo stesso piano orizzontale. Quando esso è caricato di punta dal rinculo del bossolo si comporta come un trave rigido; mentre se i perni non si trovano sullo stesso piano le parti connesse dal perno fuori asse, in questo caso le due posteriori, possono uscire dal piano ed inclinarsi fino a formare tra loro una “V”, che nel caso della Luger, per via dell’unico grado di libertà sul piano verticale del perno centrale, ha in vertice in alto ed è pertanto rovesciata. Il movimento di queste parti, per mezzo di un tirante, provoca la compressione di una molla, e la distensione della medesima provvede alla cameratura di una nuova cartuccia ed alla chiusura del sistema. Quindi all’atto dello sparo abbiamo un otturatore in tre parti che si comporta come un sol pezzo rigido, appoggiato contro la culatta della canna, di cui provvede così alla chiusura. Questo “pezzo in tre parti” è mantenuto nella sua posizione dal perno terminale, che lo assicura alla forcella. Quindi l’insieme canna-forcella-otturatore rincula solidalmente, finché il perno centrale viene mosso dalla sua posizione provocando il ciclo di funzionamento appena descritto.
Se il tratto di
rinculo percorso da canna ed otturatore rigidamente connessi è sufficiente,
l’apertura ha inizio quando la pressione in canna è scesa a valori molto
bassi, quasi atmosferici, e tutto il movimento avviene per l’inerzia
acquistata dall’arco a tre cerniere e per la sua estinzione attraverso
l’azione sulla molla. Quando anche la molla ha recuperato il suo stato di
quiete l’arma è pronta per un altro tiro. Lo sparo è provocato da una
complessa catena di scatto che trasforma un movimento intorno ad un asse
orizzontale (la rotazione del grilletto) in un movimento intorno a un asse
verticale (la rotazione della barra di scatto). Il tutto è meglio spiegato dal
disegno.
La Luger è stata progettata per essere costruita con certe tolleranze, molto precise, che di solito in fabbrica sono state scrupolosamente rispettate. Purtroppo è un’arma militare, rinvenuta in lotti usati e distribuita agli armieri o ai grossisti dopo interventi. Questi dovrebbero restituirle un’estetica “accattivante”, termine che si può intendere in due sensi, ancorché non codificati entrambi dal dizionario. Nel caso di chi scrive, per esempio, rende estremamente cattivo chi osservi le pietose condizioni di lustratura pacchiana che derivano dall’intervento. Il tutto va fatto, naturalmente, al minor costo possibile, cosa che si vede bene e da lontano. La ripulitura con spazzola rotativa per prima cosa modifica l’assetto della parte superiore sul fusto. L’insieme canna-forcella, rispetto a quest’ultimo, deve avere un solo grado di libertà, in senso longitudinale. Questa situazione si può ripristinare agendo sul fusto per allargarne la parte superiore di qualche decimo di millimetro. Più problematica è la situazione della barra di scatto, che ha un modo molto particolare di ruotare su un perno. In effetti la barra viene calata su un pilone ricavato dal pieno della forcella, inclinato rispetto alla perpendicolare al suo asse longitudinale. Ovviamente i guasti di una spazzolatura possono essere duplici. Il pilone può essere stato strombato dalla spazzola, sagomato “a clessidra”, e allora la barra toccherà solo in due punti, sperando che entrambi siano posti sullo stesso piano verticale, oppure può essere stato consumato più a fondo, e in questo caso la barra avanzerà oltre la posizione corretta e potrebbe non trattenere il percussore. La conseguenza di ciò è ovviamente il non funzionamento dell’arma, che va riparato. Si interviene, in questo caso, sulla leva ad “L” che trasmette il movimento del grilletto. Ovviamente bisogna stemprarla, piegarla a caldo e ritemprarla, avendo cura di non sbagliare perché ad ogni trattamento termico il pezzo si decarbura un altro po’.
La spazzolatura di solito modifica anche la forma della barra di scatto, portando a zero la sporgenza dorsale, una sorta di lesena di grande importanza.
La pressione della leva a “L” sul tubetto di
disconnessione deve far ruotare la barra di scatto di una frazione di giro, in
modo che l’altra estremità si sposti all’esterno e liberi il percussore.
Ovviamente la barra farà perno sul pilone ricavato nella forcella, sul quale è
stata calata. Questo non avviene spontaneamente, ed è determinato dal fatto che
la piastrina tocca la lesena appena citata, spingendola contro il pilone e
facendo sì che l’unico movimento possibile sia quello di rotazione. Le
foto chiariscono bene questo meccanismo.
Difficilmente occorreranno altri interventi sulla meccanica, ma bisogna osservare bene il portapercussore. Sotto l’effetto di caricamenti particolarmente spinti può incrinarsi e spezzarsi all’estremità posteriore, dove si aggancia il guidamolla del percussore. Il guasto avviene durante la fase di rinculo ed è provocato dalla spinta del bossolo sul percussore. In chiusura, infatti, il percussore è accompagnato dal gancio di riarmo, che lo deposita senza botte eccessive contro l’estremità posteriore della barra di scatto.
A questo punto, finalmente, si può modificare lo
scatto per renderlo pulito e senza incertezze.
Naturalmente, per poter avere uno scatto accettabile, occorrerà intervenire su tutta la catena. Se la piastrina ha spostamenti longitudinali, occorre ricaricare la parte anteriore, quella spinta dall’eccentrico che la ferma in posizione. Il problema degli scorrimenti longitudinali era ben noto già ai costruttori, tanto che sulla Parabellum modello 06/29 è stato ricavato un apposito recesso dove la piastrina alloggia a misura. A riposo, la leva ad “L” all’interno della piastrina deve essere per quanto possibile a contatto con il grilletto e con il tondino di disconnessione sito all’estremità anteriore della barra di scatto. I giochi del sistema saranno recuperati dal primo tempo dello scatto. Infine, si rettificano i piani di scatto ed eventualmente si scarica il percussore sui due anelli anteriore e posteriore, per ridurre al minimo la superficie di strisciamento.
E’ anche possibile, sulla Luger, ottenere uno scatto “lungo” di tipo roll-over. L’operazione è delicata e complessa, tale da poter essere eseguita con certezza del risultato solo da mani molto esperte.